Con la sentenza n. 15786 del 9 aprile 2018, la Corte di Cassazione, in relazione al reato di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali, ha ribadito che rimane irrilevante la situazione di difficoltà economica dell’impresa, la quale non può essere una giustificazione al mancato versamento di quanto dovuto, e ha precisato come il dolo in tali casi debba sussistere nel momento della condotta omissiva e non anche successivamente. Il socio accomandante è dunque esente da responsabilità se era estraneo alla gestione sociale ed è venuto a conoscenza dell’inadempimento solo una volta che lo stesso si era verificato, a seguito di accertamento da parte dell’INPS.
Fino a poco tempo fa la legge puniva con la reclusione fino a tre anni, e con la multa fino a 1.032,00 euro, il datore di lavoro che operava le ritenute previdenziali sulle retribuzioni dei dipendenti senza poi provvedere al versamento all’Inps.
Oggi, a seguito Articolo 3, comma 6, D.Lgs. n. 8 del 15 gennaio 2016. il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali è stato parzialmente depenalizzato, e quindi costituisce reato solo se gli omessi versamenti sono superiori a 10.000 euro (reclusione fino a tre anni oltre alla multa fino a 1.032 euro);
L’omesso versamento di importo non superiore a 10.000,00 euro annui: NON costituisce più reato ma illecito amministrativo ed è punito con sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000,00 euro a 50.000,00 euro.
In ogni caso il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica della violazione.
Dunque, il datore di lavoro commette un vero e proprio reato solo quando l’importo delle ritenute non versate all’Inps è superiore a 10 mila euro annui sempre che non abbia provveduto a regolarizzare la posizione.
La regolarizzazione entro 3 mesi dalla contestazione si pone come cause di non punibilità in senso stretto, e quindi inibisce della sanzione penale, per di ragioni di pratica convenienza politico criminale, pur sussistendo l’antigiuridicità e colpevolezza del comportamento.
Infatti la ratio sottostante alla nuova norma è corente con la riforma del sistema di sanzioni tributarie, e individuata nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’erario prima del processo penale: in questi casi infatti il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito, risultando in seguito inadempiente; il successivo adempimento, pur non spontaneo, rende sufficiente il ricorso alle sanzioni amministrative.
L’INL, con nota n. 2926 del 29 marzo 2018, ha fornito nuove indicazioni sulla configurabilità del reato di illecito di omesso versamento delle ritenute previdenziali ex articolo 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, alla luce della sentenza della Cassazione, SS.UU. penali, n. 10424/2018. Poiché la sentenza ha stabilito che “in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l’importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi (periodo 16 gennaio‐16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso)“, l’Ispettorato riabilita le indicazioni contenute nella nota n. 9099/2016, secondo cui l’arco temporale di riferimento per la determinazione dell’importo annuo di 10.000 euro che segna la soglia di rilevanza penale del fatto illecito, è il periodo intercorrente dal 16 gennaio al 16 dicembre.
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