La Corte di Cassazione con l’ordinanza 22 settembre 2021, n. 25597 ha affermato il principio che, nel caso di infortunio sul lavoro, la responsabilità del datore di lavoro sussiste anche nel caso di condotta imprudente tenuta dal lavoratore.
La vicenda
Il lavoratore chiama in giudizio il datore di lavoro e la società committente per ottenere il risarcimento del danno per l’infortunio sul lavoro da lui subito. Infatti Nel movimentare alcune pesanti lastre con l’ausilio di un carroponte il lavoratore era stato colpito poiché non si era allontanato dalla zona di movimentazione.
Il Tribunale di Ravenna aveva respinto le domande, ritenendo l’infortunio attribuibile a colpa esclusiva del lavoratore.
La Corte d’appello di Bologna aveva anche respinto l’appello osservando che non risultava dimostrata una omessa vigilanza datoriale e/o della committente, ma una unica condotta anomala posta in essere, inopinatamente, nell’occasione dell’infortunio, dal lavoratore.
Le doglianze del lavoratore
Il lavoratore deduce che la mancata vigilanza e la violazione delle misure di sicurezza da parte del datore di lavoro sono state causa dell’incidente.
Pertanto contesta la decisione della Corte d’appello che aveva ha considerato come anomala e imprudente la sua condotta perché, al momento di azionare il carroponte, era rimasto vicino alle cataste di lamiere, senza spostarsi nella zona sicura delimitata dalle linee verdi presenti sul pavimento. Il giudice di merito ha ritenuto sufficienti le misure assunte dal datore di lavoro e ne ha escluso la responsabilità.
La Suprema Corte accoglie il ricorso, ritenendo che le statuizioni della sentenza impugnata non siano rispettose dei principi elaborati dalla giurisprudenza consolidata in tema di responsabilità conseguente a infortunio sul lavoro.
L’obbligo di predisporre condizioni di sicurezza
La corte di Cassazione tiene che l’obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro trova fondamento nell’art. art. 32 Cost. e nell’art. 31 della Carta di Nizza, ove è previsto che “ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose”, nel D.lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell’art. 2087 c.c. secondo cui l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Pertanto, il datore di lavoro deve adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore.
Tali altre misure devono essere adottate “in base all’esperienza ed alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio, sia pure, come è stato precisato, in relazione ad obblighi di comportamento concretamente individuati” (Cass. 30679/2019; Cass. 14066/2019; Cass. 12863/2004).
Il fondamento della responsabilità del datore di lavoro
La responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio occorso al lavoratore interviene nell’ipotesi di mancata attuazione delle misure di prevenzione specificamente previste da norme di legge, oppure esigibili nel caso concreto in base alle regole di prudenza, perizia e diligenza, e idonee ad impedire l’evento lesivo oppure a ridurne le conseguenze.
Le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono tese ad impedire l’insorgere di situazioni pericolose e tutelano il lavoratore anche dagli incidenti provocati dalla sua imperizia, negligenza ed imprudenza.
Il datore di lavoro è tenuto a “proteggere l’incolumità dei lavoratori e a prevenire anche i rischi insiti nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei medesimi nell’esecuzione della prestazione, dimostrando di aver posto in essere ogni precauzione a tal fine idonea” (Cass. 16026/2018; Cass. 798/2017; Cass. 27127/2013; Cass. 4075/2004).
Pertanto, sussiste la responsabilità del datore di lavoro sia quando ometta di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del lavoratore”, “sia quando, pur avendo adottate le necessarie misure, non accerti e vigili affinché queste siano di fatto rispettate da parte del dipendente” (Cass. 2209/2016).
Escluso il concorso di colpa del lavoratore
La circostanza che il prestatore abbia tenuto una condotta negligente o imprudente non è sufficiente, di per sé, ad escludere la responsabilità del datore di lavoro che non abbia adottato le misure necessarie a tutelare la salute dei lavoratori. La negligenza o imprudenza del lavoratore non rileva neppure sotto il profilo del concorso di colpa nel caso in cui vi sia un inadempimento del datore di lavoro nell’adozione della cautele richieste “tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l’imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell’evento dannoso” (Cass. 30679/2019).
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che vada esclusa la sussistenza di un concorso di colpa della vittima (ex art. 1227 c. 1 c.c.) – al di fuori dei casi di rischio elettivo – quando emerge che il datore di lavoro ha omesso di adottare le prescritte misure di sicurezza, oppure ha impartito l’ordine da cui si è verificato l’infortunio, oppure ha trascurato di fornire al lavoratore infortunato un’adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi.
In tutti i casi sopra esposti, l’eventuale condotta imprudente del lavoratore diviene una mera occasione dell’infortunio e risulta giuridicamente irrilevante (Cass. 8988/2020). In particolare, è stato “escluso il concorso di colpa del lavoratore ove l’infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza” (Cass. 8988/2020; Cass. 12538/2019).
La condotta abnorme del lavoratore
La Corte ricorda che la condotta del dipendente comporta l’esclusione della responsabilità del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto all’attività lavorativa da svolgere e alle direttive ricevute. Inoltre, deve trattarsi di un comportamento atipico ed eccezionale in modo da risultare come la causa esclusiva dell’evento (Cass. 4075/2004). In altre parole, la condotta del lavoratore deve atteggiarsi come imprevedibile rispetto al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute (Cass. 3786/2009).
Si parla di rischio elettivo facendo riferimento alla “condotta personalissima del lavoratore, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa e tale da creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità di lavoro e da porsi come causa esclusiva dell’evento, interrompendo il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata” (Cass. 3763/2021; Cass. 7649/2019; Cass. 16026/2018; Cass. 798/2017; Cass. 7313/2016; Cass. 28786/2014; Cass. 12779/2012; Cass. 21694/2011).
Pertanto, nel caso di danno alla salute del lavoratore, la responsabilità del datore di lavoro è esclusa se il danno è stato cagionato da una condotta atipica ed eccezionale del prestatore che si pone come causa esclusiva dell’evento dannoso.
L’onere della prova
In ogni caso la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. non è un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Il lavoratore, quindi, ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento, la sussistenza del danno e il nesso causale.
Invece il lavoratore non deve provare la colpa del datore di lavoro in quanto opera la presunzione ex art. 1218 c.c. A sua volta, il datore di lavoro deve allegare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente (Cass. 3786/2009).
la corte opera quindi una distinzione distinzione fra misure di sicurezza nominate (ossia espressamente previste dalla legge, o da altra fonte) e innominate (ossia derivate dall’art. 2087 c.c.) precisando che
- nel caso di omissione di misure di sicurezza nominate , la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore;
- in caso di omissione delle misure di sicurezza innominate, la prova liberatoria è correlata “alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l’assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione” (Cass. 10319/2017; Cass. 14467/2017; Cass. 34/2016; Cass. 16003/2007).
Obbligo di tutelare il lavoratore anche contro i rischi derivanti da sua imprudenza
Secondo la Cassazione, la corte di merito ha errato nel considerare abnorme la condotta del lavoratore, questi, infatti, si era infortunato mentre eseguiva la prestazione lavorativa.
Nel caso di specie, quindi, non era invocabile un rischio elettivo tale da recidere il nesso causale tra l’obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro/committente e l’infortunio intervenuto.
Inoltre, l’indagine sul corretto adempimento dell’obbligo di sicurezza da parte del datore/committente avrebbe dovuto comprendere l’utilizzabilità di diversi sistemi protettivi come l’impiego di barriere tecnologicamente avanzate, volte ad impedire l’accesso all’area di movimentazione dei carichi. Infatti, l’obbligo di tutela delle condizioni di lavoro (ex art. 2087 c.c.) non è adempiuto se le misure di prevenzione non sono idonee ad eliminare nella misura massima possibile anche i rischi derivanti da imprudenza, negligenza o imperizia del lavoratore.
Link e documenti:
Corte di Cassazione con l’ordinanza 22 settembre 2021, n. 25597
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