Ciascun medico componente dell’équipe medica deve sempre verificare che gli altri colleghi abbiano eseguito correttamente la propria opera, e non può sciogliersi a intervento appena terminato. E’ necessario infatti osservare l’andamento del paziente anche nella fase successiva. In caso contrario, soprattutto, quando la situazione clinica post-operatoria si aggravi è da riscontrare la responsabilità penale dei soggetti che facevano parte dell’equipe e che, invece, si sono allontanati per un presunto fine turno. Questo il principio affermato dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza del 18 maggio 2018, n. 22007
Il caso vedeva più sanitari in servizio presso un ospedale chiamati a rispondere penalmente del decesso di una paziente sottoposta a taglio cesareo e successiva isterectomia.
A seguito dell’operazione, aveva infatti riportato perdite ematiche importanti che in un primo momento sono state tamponate grazie anche all’intervento di altri due soggetti (un ginecologo e un’anestesista). Successivamente, tuttavia, i due professionisti sono andati via per fine turno e la donna ripiombata in condizioni disperate, dopo una trasfusione insufficiente e tardiva, è deceduta.
I sanitari sono stati quindi imputati per per avere colposamente omesso, pur in presenza di uno shock emorragico conseguente al parto cesareo, di trasfondere plasma fresco per correggere il difetto di coagulazione e per avere ritardato il ricovero della donna in ospedale dotato di reparto di rianimazione.
Nei gradi precedenti era stata riconosciuta solo la responsabilità dell’equipe iniziale, senza tenere presente quindi le due figure che si sono aggiunte all’equipe.
Ricorda la Cassazione, anche sulla base della sentenza richiamata la sentenza Cass. Sez. 4, n. 12275 del 08/02/2005 che, in tema di responsabilità professionale medica, la posizione di garanzia dell’equipe chirurgica nei confronti del paziente non si esaurisce con l’intervento, ma riguarda anche la fase postoperatoria, gravando sui sanitari un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato; ne consegue che dalla violazione di tale obbligo, fondato anche sul contratto d’opera professionale, può discendere la responsabilità penale dei medici qualora l’evento dannoso sia causalmente connesso ad un comportamento omissivo ex art. 40 c.p., comma 2.
Ne consegue che, dopo l’intervento, il sanitario non può tout-court disinteressarsi del paziente, ma deve sempre controllare il decorso operatorio, quanto meno affidando il paziente ad altri sanitari, debitamente edotti, in grado di affrontare eventuali complicanze, più o meno prevedibili.
Prosegue la Corte che dalla violazione di tale obbligo, fondato anche sul contratto d’opera professionale, può discendere la responsabilità penale dei medici qualora l’evento dannoso sia causalmente connesso a un comportamento omissivo. In definitiva dopo l’intervento il sanitario non può tout-court disinteressarsi del paziente, ma deve sempre controllare il decorso operatorio quanto meno affidando il paziente ad altri sanitari, debitamente edotti, in grado di affrontare eventuali complicazioni più o meno prevedibili.
In definitiva è stato affermato il principio secondo cui “in tema di responsabilità medica, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio”.
La Corte quindi ha annullato e rinviato la sentenza alla Corte di appello, che è chiamata a riaprire l’istruttoria muovendo dal presupposto dell’effettiva assunzione di garanzia da parte degli imputati nel caso di specie, facendo applicazione dei principi di diritto espressi nella sentenza, anche a proposito dello scioglimento, se giustificato o meno nel caso di specie, della equipe chirurgica.
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