Il giudice è tenuto a spiegare dettagliatamente su quali basi i predetti elementi sarebbero stati idonei a consentire al medico di salvare il paziente dalla grave patologia insorta dopo l’intervento chirurgico, valutando in termini rigorosi e scientificamente accettabili i dati indiziari disponibili. Ciò è necessario per accertare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato ragionevolmente evitato o differito con (umana) certezza.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 30229/2021 accogliendo il ricorso di un medico chirurgo accusato dell’omicidio colposo di un paziente deceduto a seguito di una peritonite occorsa dopo l’intervento.
Il caso: l’omessa vigilanza post operatoria
Secondo la prospettazione accusatoria , il medico non aveva adeguatamente seguito il decorso post-operatorio del paziente, nonostante questi presentasse una sintomatologia dolorosa anomala e preoccupante che avrebbe dovuto indurre l’imputata (anche attraverso esami strumentali) a diagnosticare la peritonite da cui era affetto il paziente determinata da complicanza dopo l’intervento.
L’accertamento della causalità omissiva
In tale occasione, il Supremo Consesso nomofilattico ha ribadito che, “nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto”.
In particolare, si è sottolineato che, nella verifica dell’imputazione causale dell’evento, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta.
Coefficiente salvifico: come incidono ulteriori elementi?
Per gli Ermellini è dunque necessario stabilire in che modo il coefficiente salvifico di probabilità statistica (idoneo a ricondurre causalmente l’evento al comportamento omissivo del medico) possa essere “modificato” dagli ulteriori dati indiziari processualmente emersi, mediante l’analisi delle particolarità del caso concreto, in maniera tale da sorreggere quel giudizio di “alta probabilità logica” idoneo a fondare la ragionevole certezza della configurabilità del nesso causale, e quindi la responsabilità penale del medico che abbia adottato un comportamento colposo.
Per il Collegio è evidente che un simile giudizio non potrà essere basato sulla mera “sommatoria” dei dati indiziari emersi rispetto al “nudo” dato statistico indicativo delle (generali e teoriche) probabilità di salvezza del paziente.
Tuttavia, “l’esame dei dati che caratterizzano il fatto storico, ai fini del giudizio di tipo induttivo riguardante l’indagine controfattuale, non potrà mai essere basato su valutazioni di ordine congetturale, vale a dire sfornite di una adeguata base scientifica o esperienziale” anche se al giudice resta consentito legittimamente fare propria l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire.
Giudizio controfattuale: quali elementi valorizzare?
Per propendere per l’esito salvifico, a tale coefficiente percentuale di salvezza non particolarmente elevato la Corte di merito ha “aggiunto” alcuni elementi caratterizzanti il caso concreto, segnatamente: la giovane età del paziente, di anni 43 al momento del ricovero, ritenuto elemento che “assicura ottime capacità di recupero e di reazione sulla malattia, buone risorse energetiche, forza e vitalità non disgiunte da una forte componente psichica di voglia di vivere”; l’assenza di patologie pregresse; la “resistenza” e “tempra” dimostrata dal paziente una volta trasportato in ambulanza all’ospedale, ove fu sottoposto ad intervento chirurgico di quasi 3 ore, tanto da sopravvivere per altri tre giorni, rispetto alla visita della dottoressa.
Coefficiente statistico o probabilità logica?
La cassazione ritiene che: “ammesso che l’indicato coefficiente salvifico del 50% costituisca un dato di probabilità statistica, la sentenza impugnata non ha motivato sulle specifiche ragioni (fondate su basi scientifiche o massime di esperienza) per cui quelle connotazioni positive caratterizzanti il caso concreto (giovane età, assenza di pregresse patologie ecc.) siano idonee ad incidere sulle probabilità di salvezza del paziente, e quindi abbiano l’attitudine, se valutate unitamente al dato statistico, a raggiungere quel grado di elevata probabilità logica, compatibile con il criterio di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio in punto di sussistenza (sotto il profilo controfattuale) del nesso causale fra il comportamento colposamente omesso e l’evento morte”.
In definitiva, “l’analisi sul nesso eziologico è stata svolta dai giudici di merito in termini erronei ed insoddisfacenti, trascurando di valutare in termini rigorosi e scientificamente accettabili i dati indiziari disponibili, al fine di verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato ragionevolmente evitato o differito con (umana) certezza” (cfr. Cass. n. 5901/2019). Per questo la sentenza va cassata con rinvio.
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