La clausola relativa al tasso di interesse, stabilità in relazione al “prime rate ABI” è nulla per indeterminatezza ed indeterminabilità. Questa è la conclusione cui è giunta al Corte di Appello di Bari II sezione civile nella sentenza n. 1735 pubblicata il 15.10.2020.
La controversia riguarda gli interessi a debito maturati su un conto corrente in cui il tasso di interesse era stato convenuto pari al “prime rate ABI” maggiorato del 3,5%.
Nella motivazione che ha dato ragione al correntista appellante il collegio si legge che nella vigenza dell’art. 117, 4° comma, d.leg. n. 385 del 1993, il tasso di interesse può si essere determinato per relationem (con esclusione del rinvio agli usi), purché, però, il contratto richiami “criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non devono essere determinati unilateralmente dalla banca.
La corte di Bari richiama l’insegnamento della corte di cassazione che riguardo alla ratio della norma, che individua una esigenza di salvaguardia del cliente sul piano della trasparenza e della eliminazione delle cosiddette asimmetrie informative, essendo la prescrizione diretta a porre quel soggetto nelle condizioni di conoscere e apprezzare con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma.
Il Prime Rate Abi (PRA) è uno dei più noti indicatori utilizzati per indicizzare i contratti di finanziamento. Tecnicamente esso consiste nella media dei migliori tassi applicati alla clientela dalle principali banche italiane su operazioni non garantite in conto corrente. Esso, quindi, pur essendo formalmente una fonte esterna, è diretta espressione delle scelte commerciali delle stesse banche nel determinare il costo del credito.
Di conseguenza – si legge nella sentenza – “deve invece negarsi che il rinvio a fonti esterne possa operare allorquando il saggio di interesse sia fatto dipendere dalla determinazione unilaterale dell’istituto di credito. […] In termini generali, ammettere che la banca possa richiamare, in contratto, un tasso di interesse non espresso in cifra, ma dalla medesima definito con riferimento a proprie condotte, o prassi aziendali, presenti e future, significa consentire non solo l’elusione dell’art. 117, comma 4, t.u.b., con riferimento all’obbligo, ivi previsto, di enunciazione in contratto del tasso di interesse, ma altresì, quella dell’art. 118 t.u.b., recante le condizioni e modalità dello jus variandi” (Cass. 17110/19, cit.).
Nella stessa sentenza la Corte d’Appello si esprime sulla nullità della fideiussione stipulata in conformità dello schema contrattuale predisposto dall’associazione bancaria per la stipula delle cd. fideiussioni omnibus giudicate invalide perché in contrasto con l’art. 2, 2° comma, lett. a), l. n. 287 del 1990 con provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005.
La Corte di Bari dato atto che la giurisprudenza che sul punto appare fortemente divisa, e prende posizione in senso favorevole alla nullità totale del contratto (nello stesso senso, cfr. anche App. Firenze, 18 luglio 2018; App. Roma, 26 luglio 2018; T. Salerno, 23 agosto 2018; T. Fermo, 24 settembre 2018; T. Bolzano, 19 dicembre 2018; T. Belluno, 31 gennaio 2019; T. Pesaro, 21 marzo 2019; T. Siena, 14 maggio 2019; T. Taranto, 8 agosto 2019)
Link e Documenti:
Corte di Appello di Bari sentenza n. 1735/2020.
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